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UN UTILE ABBANDONO PER LO YOGI

ISVARA PRANIDHANA  

Come ben sappiamo nulla in questo mondo va assolutamente liscio,  questo è certamente vero anche per il sentiero yoga. Una delle più comuni difficoltà sorge quando si raggiunge un certo livello di stasi o di crisi, un livello che spesso può durare anche settimane o mesi, forse anni. Quando avviene ci meravigliamo di quello che ci succede. Talvolta appare assolutamente normale. Era solo un lungo periodo di assestamento e di preparazione per poi proseguire nuovamente. Spesso però è causato dal fatto che noi stessi ci rifiutiamo di andare avanti. In che modo rifiutiamo di andare avanti? Noi praticanti sappiamo che vivere secondo lo spirito yoga significa liberarsi dell’ego. Noi siamo già quello che stiamo cercando, ma la nostra coscienza è piena di un senso di separazione che non ci concede di provare la beatitudine del nostro proprio vero sé, in cui non c’è separazione. Durante il cammino dimentichiamo questo. Pensiamo che la vita yoga sia solo fare le nostre pratiche. La nostra attenzione è centrata solo sulle tecniche, non è indirizzata, come dovrebbe, verso la consapevolezza del tutto, che è il nostro obiettivo, né sull’ego che ne è l’ostacolo, il blocco.
Ma dov’è che l’ego si nasconde? Si nasconde nel fatto che noi non vogliamo abbandonarlo. Questo è il motivo per cui Gurudev Swami Sivananda era solito dire che l’obbedienza è meglio della riverenza. Noi offriamo ogni tipo di riverenza al Guru o all’insegnante, facciamo ogni cosa che ci chiede, ma in effetti, non vogliamo dargli la nostra idea di noi stessi. Noi non gli diamo la nostra implicita obbedienza.
            Questo è il modo in cui ci poniamo. Affermiamo di condividere i principi dello yoga, affermiamo l’intenzione di lasciare ogni interesse verso le cose futili e materiali come la fama, il potere e la ricchezza, ma non siamo disposti a rinunciare alla nostra identificazione con l’immagine che abbiamo di noi stessi. Pratichiamo per ricercare un riconoscimento della nostra bravura, ci impegniamo spasmodicamente a promuovere la nostra immagine con la speranza che ci porti l’agognata felicità, questo rivela che in realtà non vogliamo dare ogni cosa per il fine ultimo. Con l’uso della sola tecnica crediamo di riuscire a mantenere il totale controllo sulla nostra vita. In ultima analisi il nostro atteggiamento è: “Se ciò non mi soddisfa, farò qualcosa d’altro. Andrò da qualche altra parte.”
            Questo atteggiamento, per un praticante yoga, quando è presente, deve essere identificato e riconosciuto perché i saggi realizzati affermano che nessuno supera questo oceano costellato di paure e sofferenza, a meno che  non si pratichi Iswara Pranidhana, ossia non prenda rifugio nel Controllore Supremo. Significa smettere di dipendere dal falso ego, abbandoniamo l’ultima briciola di identificazione con il nostro ruolo e  prendiamo rifugio, ci abbandoniamo, questo e realizzare Iswara Pranidhana. Quando saremo capaci di fare questo con tutta sincerità, allora entreremo nel flusso attivo della pura Energia Cosmica.
            L’essenza cosmica non è qualcosa di statico, piuttosto è piena di vita e dinamismo. Quando entriamo in quella corrente, la nostra vita diventa di nuovo progressiva e continua a essere progressiva fino a quando non ci arrestiamo, perché di nuovo interrompiamo il nostro stato di Iswara pranidhana, l’abbandono al flusso della vita, cercando invece il suo controllo.

Abbandonarsi completamente all’Energia Cosmica senza dubbio necessità grande coraggio, ma il sentiero yoga è fatto per i forti e i coraggiosi. Saggi antichi e le scritture affermano che: ”Non ci sono alternative”.

Cari yogi e yogini più siamo impegnati sul sentiero yoga e più si rende necessario considerare la verità da un altro punto di vista, rispetto al solito, insieme al nostro modo di affrontarla, di come viverla. La verità è sempre presente, ma siamo noi che dobbiamo rapportarci ad essa, siamo noi che dobbiamo riconoscerla e metterla in pratica. Spesso ciò ci costa fatica e allora troviamo mille pretesti, diciamo che è lontana, che è difficilmente raggiungibile e così continuiamo a vivere come al solito, facendo solo il minimo indispensabile per rimanere sul sentiero(a galla), ma non progrediamo, non andiamo avanti decisi e sicuri perché troppo faticoso, troppo impegnativo. Ma ricordiamoci che senza l’impegno costante(Abhyasa) e lo sforzo(tapas) non si ottiene nulla nel sentiero yoga, così come in qualsiasi altro traguardo nella vita.
Iswara pranidhana è abbandonarsi al Controllore Supremo (la causa originale). E’ l’esercizio che depotenzia fino alla sua completa emarginazione dell’ego. Quest’ultimo rappresenta uno scoglio, la più grande illusione da superare se si vuole concretamente realizzare che la coscienza individuale è una manifestazione della causa originale. Questo aspetto, malgrado possa apparire lontano dalla vita pratica, è invece, presente in molte circostanze della vita. Se consideriamo un bambino, un giovane o un adulto, ognuno di questi qualunque sia l’ambito in cui sono chiamati ad operare, hanno bisogno di una figura di riferimento che funga da guida, un’autorità da seguire per progredire e affermare se stessi, per esempio: il bambino la maestra, il giovane il professore o un allenatore di sport, la persona adulta il dirigente o il titolare sul posto di lavoro, così nella disciplina yoga è richiesto, in quanto ritenuto necessario un’insegnante o ancor meglio un maestro per poter apprendere l’arte e per acquisire l’abilità all’auto-disciplina, necessaria a mantenere costante lo sforzo attraverso i suoi consigli e le sue indicazioni che rendono stabile la sua Sadhana.
Così come ogni arte, come quella della cucina, della musica, fino al guidare un’automobile, per essere appresa ha bisogno di un maestro, anche la disciplina yoga per essere compresa e imparata è necessario avvalersi del sostegno di una figura di riferimento, una guida autorevole da seguire se si vuole conoscere, comprendere la realtà delle cose, se stesso e il rapporto che intercorre tra se stessi e il mondo circostante. La tradizione yoga considera fondamentale per un serio praticante, avvalersi della guida di un maestro, che così viene definito: “ la luce che dissolve l’oscurità dell’ignoranza per illuminare il cammino dello studente”.

 

La disciplina yoga scoraggia il praticante dal camminare lungo il sentiero oscuro senza avvalersi di una luce, il maestro appunto. Ogni sincero praticante yoga deve essere consapevole della sua inadeguatezza a percorrere la strada senza una guida. E’ come guidare l’automobile a fari spenti, ci si può provare, ma ci si espone a forti rischi e a probabili incidenti.

La maggior parte dei ricercatori-praticanti yoga, a un certo punto si ritrovano a camminare in direzione differente rispetto a quella scelta fatta in origine, la cosa interessante è che non si rendono conto di questo. Questo fatto rappresenta un grande pericolo nella pratica dello yoga. In questa situazione è coinvolta la coscienza, pertanto non si è in grado di riconoscere i propri errori. Se l’errore o gli errori fossero sotto forma di oggetti esterni, sarebbero visibili, ma purtroppo gli errori che si commettono non sono oggettivi. Si tratta invece in parte, della trasformazione in atto nella mente stessa. Così quando siamo sviati dalla giusta direzione, non ci rendiamo conto che sta accadendo. Ecco perché la guida di un Guru, maestro o insegnante è così importante per una pratica yoga veramente evolutiva.

Da:YOGA SHAKTI V.2  di Felice Vernillo

Buona Pratica

 

 

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